Tutto ciò che possiamo a buon diritto attenderci e chiedere a Dio, possiamo trovarlo in Cristo. Il Dio di Gesù Cristo non ha nulla a che vedere con ciò che potrebbe fare un Dio come noi ce lo immaginiamo. Dobbiamo immergerci sempre di nuovo, a lungo, e con molta calma nel vivere, parlare, agire, soffrire e morire di Gesù per riconoscere ciò che Dio promette e ciò che egli adempie.
(D. Bonhoeffer, Resistenza e resa)
Al Getsemani (Mt 25,36-46)
36Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: «Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare». 37E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me». 39Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!». 40Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? 41Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole». 42Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà». 43Poi venne e li trovò di nuovo addormentati, perché i loro occhi si erano fatti pesanti. 44Li lasciò, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. 45Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. 46Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».37E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. 38E disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me».
Lascia alcuni discepoli per allontanarsi a pregare. Porsi in dialogo con il Padre esige distacco, silenzio, solitudine.
In più occasioni i Vangeli ci testimoniano questa esigenza di Gesù: porta con sé, per tenerli più vicini, i tre discepoli testimoni privilegiati del suo mistero, Pietro, Giacomo e Giovanni.
Tristezza e angoscia i sentimenti che ci racconta Matteo, paura e angoscia da parte di Marco; i sentimenti che Gesù prova dentro di sé. Comunica questo suo vissuto interiore con l’espressione “triste fino alla morte”.
“Restami accanto – è la richiesta di Gesù -; non puoi fare niente, ma rimani, nella veglia, nella preghiera”. Gesù cerca una vicinanza, un affetto che mitighi il gelo della morte che si delinea all’orizzonte.
Un Gesù sconosciuto, ignoto si presenta agli occhi dei discepoli; è irriconoscibile, devastato da quei sentimenti dilanianti; dilaniato nell’intimo, abbattuto.
Gesù lascia i discepoli, e si inoltra nella solitudine del faccia a faccia con il Padre.
Gesù si pone in ascolto e in dialogo con le proprie paure.
Colpisce questa inermità che si manifesta nella forma più semplice e più drammatica in Lui che è il Figlio di Dio.
Gesù non chiede ai discepoli di salvarlo dal suo destino, di trovare una via di fuga; non chiede loro di immolarsi in sua difesa. Basterebbe che non lo lasciassero solo a sopportare il peso di quella notte, basterebbe che vegliassero il suo sonno tormentato. La sua richiesta è minima, ma viene egualmente evasa.
39Andò un poco più avanti, cadde faccia a terra e pregava, dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».
Con la faccia a terra; nessun volto che gli venga incontro, che si faccia incontrare.
Gesù è prostrato, abbattuto, ormai incapace di stare in piedi, travolto da questi sentimenti oscuri; è qualcosa che lo trapassa nell’intimo, anticipazione di quei chiodi che trapasseranno la sua carne. Dolore cieco, violento.
Da qui l’invocazione, il grido. In questa devastazione interiore si rivolge al Padre, a quel legame da cui ha attinto ogni istante della sua esistenza; cerca soccorso in Lui, invoca clemenza, che gli sia risparmiato questo strazio.
Se è possibile. Il calice amaro di una vita spezzata, di un dolore dilaniante, sofferenza immane.
Il frutto del peccato dell’uomo si abbatte su di Lui.
Il peccato è cosa seria; il peccato distrugge, annienta l’uomo, la vita. Riscattare l’uomo dal suo peccato non può essere opera magica, che azzera, fa sparire, cancella i danni operati.
Ne va della serietà della libertà, della responsabilità, della dignità dell’uomo. riscattare l’uomo allora esige che Dio stesso offra l’Agnello, prendendo su di sé la devastazione operata dall’uomo peccatore.
Gesù si rimette tuttavia alla decisione, al volere del Padre; le due volontà, sino ad ora sempre perfettamente in sintonia, ora divergono, non vogliono più la tessa cosa. Gesù chiede se possibile che il Padre si chini alla volontà del Figlio, dell’uomo Gesù: un Figlio che tuttavia continua a sottomettersi, ad offrirsi alla sovrana volontà del Padre.
L’umano di Gesù reclama, vuole essere ascoltato; non accetta di essere ignorato, scavalcato. Gesù riconosce alla propria umanità il permesso di esistere, di dire la sua.
È sopraffatto fino ad un certo punto dalla propria umanità, dal suo grido, ma la sottomette comunque al desiderio del Padre; il Padre continua ad essere il suo punto di riferimento: Colui al quale dedicare, offrire la propria vita.
Gesù è vero Dio e vero uomo. Gesù vive questo conflitto in sé, lo scontro tra due desideri, tra due amori; quello per la vita e quello per il Padre. Tra una vita nella sua espressione naturale e una vita come parabola dell’Amore del Padre per l’uomo, amore respinto, negato, ucciso, eppure sempre vivo.
In questo modo radicale si svela l’essenza della parola. In Gesù la radice ultima della parola è, la Preghiera; il Lui non c’è parola che non sia una invocazione rivolta all’Altro.
Nel silenzio a cui essa è traumaticamente ridotta nel Getsemani, la parola può rivelare la sua struttura più profonda: quella di essere una apertura sul mistero dell’Altro, di essere sacramento dell’Altro.
È dalla strettoia difficile del silenzio che la parola di Gesù deve passare; attraversare il silenzio «inumano» di Dio.
Dio – suo Padre – non risponde. Come è possibile? È lo scandalo del cristianesimo: Gesù prega come un uomo che si rivolge a Dio vissuto come Padre.
La cosa più sconcertante nel Getsemani è il silenzio di Dio di fronte a questa invocazione. È il silenzio del Padre di fronte alla parola invocante del figlio.
Dio non risponde se non col silenzio.
Sempre, tutte le volte in cui la vita è sottoposta al dolore privo di senso, il silenzio di Dio appare come insopportabile e inumano.
È in quell’occasione che Gesù fa, per la prima volta nel corso della sua vita, esperienza del silenzio del Padre. Sino ad allora infatti il Padre gli era sempre stato vicino, lo aveva sempre sostenuto, aveva sempre risposto ai suoi appelli. Questo silenzio radica ancora di più Gesù nel suo essere uomo; lo rivela come radicalmente umano, dunque esposto, come lo sono tutti gli uomini, al silenzio di Dio.
40Poi venne dai discepoli e li trovò addormentati. E disse a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? 41Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».
Gesù chiede ai discepoli che “restino” e che “veglino”.
Restare: non andare altrove, non fuggire, restare dentro al peso di quella tristezza che Gesù chiede di portare, affrontare con Lui.
Vegliare: essere vigili, consapevoli del momento presente, attenti a cogliere ciò che accade, che si muove in loro. Per poter restare è necessario vegliare.
Nel tempo della prova la reazione più spontanea è quella di sottrarsi; quando vanno male le cose, quanti presunti amici spariscono! Scappare, distrarci, dormire: tanti modi per non esserci, non sostenere il peso dell’angoscia dell’altro. Il peso del fallimento, della sconfitta.
Vegliare è necessario per cogliere, accogliere e gestire i sentimenti di fuga.
Gesù trova i discepoli addormentati. I discepoli non reggono il momento e si rifugiano nel sonno. Non colgono il dramma che sta per compiersi; è incomprensibile quella richiesta del Signore, così come erano incomprensibili i suoi preannunci della passione. La stanchezza della giornata ha il sopravvento; non colgono l’urgenza che chiede di superare questa loro esigenza. Gesù vive la solitudine radicale dell’incomprensione, della lontananza affettiva ed effettiva dei suoi discepoli, estranei a ciò che Lui sta vivendo.
Questa distanza è preannuncio della loro fuga, del rinnegamento, del tradimento.
Vegliate e pregate. La tentazione preme alle porte della coscienza, si insinua nei sentimenti; è necessario lo sforzo di tenere desta la coscienza là dove siamo artefici delle nostre scelte, con libertà, responsabilità, per non lasciarci risucchiare da reazioni che sfuggono alla consapevolezza e alla volontà, trascinati da forze oscure presenti nel nostro intimo: passioni, emozioni cieche.
Lo spirito è pronto, ma la carne è debole: sono le due “anime” che portiamo dentro. La rinuncia alla lotta comporta inevitabilmente l’abbandono alle forze della “carne”, al dominio di quelle forze che ci portano a chiuderci, arrenderci, lasciare campo libero a qualcosa di più facile, immediato, più a portata di mano; avviene quando mettiamo in gioco soltanto le nostre energie personali, ripiegati, chiusi, paghi di restare a galla, sopravvivere.
La stessa scena si ripete, non a caso, come per il tradimento di Pietro, per tre volte in tutto.
Nella notte del Getsemani non c’è più nessuno attorno a Gesù. Egli deve fare esperienza dell’assenza e della solitudine proprio nel momento in cui è lui che si trova non più ad accogliere la domanda di aiuto di persone bisognose, ma a domandare aiuto.
Quando il Maestro ha perduto la sua gloria ed è destinato a essere arrestato e ucciso come un semplice malfattore, i discepoli lo lasciano solo. Non vogliono vedere l’esperienza inesorabile della perdita che Gesù sta incarnando. Vogliono continuare a sognare il Gesù che entra nella città di Gerusalemme tra gli Osanna festanti del suo popolo. Non vogliono vedere la morte del Maestro, la sua lontananza abissale dal cielo del Padre. Non vogliono avere contatti con la ferita del Figlio abbandonato dal Padre.
42Si allontanò una seconda volta e pregò dicendo: «Padre mio, se questo calice non può passare via senza che io lo beva, si compia la tua volontà».
Gesù torna a pregare, a bussare alla porta del Padre, a quella porta che sembra restare chiusa, indifferente all’invocazione del Figlio. il Padre non risponde, ma Gesù continua ad invocarlo; cambia però la sua invocazione rispetto alla precedente. Ora non abbiamo più due volontà discordanti; ora Gesù vuole ciò che vuole il Padre. Se è inevitabile bere il calice amaro, così sia; scompare il “come voglio io”, e rimane il “si compia la tua volontà”. Che quella volontà paterna che ha plasmato tutta la sua vita giunga alla sua completezza, che il Padre plasmi fino al suo compimento la storia, la vita, l’identità del Figlio. la tua volontà è anche la mia, riconosco nella tua volontà il volto autentico, pieno, di me; mi riconosco nella tua volontà.
Riconoscere il nostro volto autentico passa attraverso il deporre tante cose che ci appartengono ma dicono qualcosa di parziale di noi. È necessario andare oltre tutto ciò, oltre la nostra natura semplicemente umana, aderire allo Spirito, alla nostra chiamata a vivere da figli di Dio. La mia verità piena passa attraverso il fare mio un desiderio che non mi appartiene immediatamente, spontaneamente, che eppure porto dentro, sepolto nell’intimo. Mi fido, mi consegno, oltre lo scandalo della croce. C’è un guado da attraversare.
Nella seconda preghiera l’enunciazione di Gesù si raccoglie nel più profondo silenzio, si compie nella libera scelta di aderire al proprio destino, di scegliere nuovamente, per un’altra volta, di fronte al silenzio di Dio, l’eredità che il Padre gli ha consegnato.
È questa la direzione ultima che assume la sua preghiera. Di fronte al silenzio del Padre, egli non risponde né con l’odio ateo, né con il disincanto rassegnato, né con la credenza religiosa, né, infine, con la supplica della prima preghiera. La nuova preghiera, infatti, è resa possibile proprio dal silenzio di Dio; è la risposta finale di Gesù al silenzio di Dio. Gesù, nel Getsemani, fa esperienza della preghiera come un affidamento al mistero di Dio più che alle sue parole. Ma cosa significa questo affidamento ultimo? Gesù è consegnato o si consegna alla volontà del Padre? Subisce la consegna o vive la consegna come un compito che definisce la propria stessa vita?
Gesù, come scrive S. Paolo, non subisce la morte ma consegna sé stesso.
La seconda preghiera di Gesù è un consegnarsi disarmato a Dio.
La fede sorge non perché Dio invia «segni» – come direbbe Paolo-, o perché incute timore con la sua presenza e con il suo sguardo severo, ma proprio perché è assente e non risponde. Questo è il paradosso estremo che si spalanca per Gesù nell’orto del Getsemani, mentre i suoi discepoli restano chiusi nel loro sonno stordito e Giuda il traditore lo vende ai sacerdoti del tempio. La fede più radicale non sorge dalla presenza ma dall’assenza di Dio.
Ecco, l’ora è vicina e il Figlio dell’uomo viene consegnato in mano ai peccatori. 46Alzatevi, andiamo! Ecco, colui che mi tradisce è vicino».
Gesù ritrova l’unità interiore, davanti a quel silenzio, a quel salto nel buio.
“Alzatevi”: Lui per primo si è alzato dalla prostrazione, è pronto alla battaglia, avendola combattuta prima dentro di sé.
Solo di fronte alla morte. Tutto tace, tutto è (o sembra) assente. Da solo, faccia a faccia con la morte, con il Male nella sua massima espressione, un male forte, potente, che lo sovrasta. Gesù è inerme, debole, indifeso, contro l’Avversario che ha tutto in proprio potere, che può abbattersi finalmente su di Lui.
Consapevole di questo Gesù si alza; consapevole di non aver alcuno sconto su quanto lo aspetta, sa bene quale ferocia si troverà davanti.
Si alza, è Lui che si alza, che affronta, forte unicamente di sé, della propria verità di Figlio, di sapersi e volersi sempre e comunque Figlio. pronto a rispondere alle circostanze che lo aspettano come Figlio del Padre: Padre apparentemente assente, ma che Gesù porta in sé, ha assunto in sé, è parte di sé.