NOTA: Le letture della II Domenica di Pasqua sono disponibili cliccando qui, in formato stampabile per chi desiderasse seguire la messa in diretta.
“…nella tua grande misericordia ci hai rigenerati…” (Colletta)
Ritengo utile, per me e per voi, iniziare la riflessione mettendo in evidenza alcuni aspetti: come una cornice che traccia i confini e dà risalto a questa e alle prossime domeniche.
1. Prima della riforma liturgica del Concilio Vaticano II, queste domeniche venivano definite “Domeniche dopo Pasqua”; ora sono chiamate Domeniche di Pasqua”. Termineranno (cinquanta giorni dopo la Pasqua) con la “Pentecoste”, il dono dello Spirito Santo: lì la Pasqua giungerà alla sua pienezza, al suo compimento. Perché l’augurio di “Buona Pasqua” diventi realtà concreta nella nostra vita, ci vuole tempo; perché un bambino che nasce diventi uomo, ci vuole tempo. Siamo disposti a concedere al Signore Gesù il tempo necessario affinché la vita nuova che nasce dalla Pasqua possa mettere radici in noi?
2.Questa seconda domenica di Pasqua era (ed è) chiamata “Domenica in Albis” : i battezzati nella Veglia Pasquale (che erano adulti) partecipavano per la prima volta all’Eucaristia nel giorno del Signore con la loro Comunità Cristiana; portavano per l’ultima volta la veste bianca (“alba”, in latino). E’ un buon giorno per ricordarci del nostro Battesimo e per chiederci, davanti a Dio, quanto questo dono sia ancora vivo e coltivato con cura da noi.
3.La Pasqua che nasce dal Battesimo diventa Pasqua che cresce e diventa vita se la nutriamo all’Eucaristia, condivisa con gli altri battezzati; altrimenti, muore!
4.S. Giovanni Paolo II ha scelto di dedicare questa domenica alla “Divina Misericordia”: dal “cuore intenerito” di Dio, dal “costato aperto” di Gesù Morto e Risorto per noi scaturiscono i doni della pace e del perdono. Il costato trafitto mostrato da Gesù, prima ai discepoli e poi a Tommaso, sembra quasi annunciare il parto dell’umanità nuova: come una volta dal costato di Adamo fu creata Eva, così ora dal costato di Cristo nasce la nuova umanità, la Chiesa. Un Padre della Chiesa, in una sua Omelia pasquale, dice che qui è apparsa un’altra generazione, un’altra vita, un’altra maniera di vivere la nostra natura umana.
Al centro del vangelo di oggi, di fronte a Gesù, c’è l’apostolo Tommaso con la sua esperienza di fede: fede che presenta due volti differenti, quasi in omaggio al soprannome di Tommaso (chiamato “didimo”, cioè gemello).
1. ”Tommaso non era con loro quando venne Gesù”: era lontano dalla propria comunità di fede, in ricerca inquieta della propria fede; ma non si risorge da soli: lo si può fare sempre e solo insieme. La prima a risorgere è la comunità dei discepoli, bloccata dalla paura, chiusa in se stessa, con le porte chiuse, ferita dal rinnegamento di Pietro, dal tradimento e dal suicidio di Giuda, dalla fuga di tutti dopo la cattura di Gesù. Gesù la fa rinascere: ridona fiducia e pace, li accompagna a riattraversare i loro fallimenti, dà loro la possibilità di ricominciare a partire dalla misericordia.
2. Risorge anche Tommaso, che a prima vista sembra resistere; ma forse non è vero, non è come sembra a prima vista: Tommaso può diventare anche un esempio straordinario per la nostra fede. Lui amava il Signore: a un certo punto del vangelo di Giovanni aveva già espresso la sua disponibilità a morire con Lui. Lui è il meno spaventato tra i discepoli: tanto è vero che mentre loro sono “chiusi per timore dei Giudei”, lui è assente, è fuori, senza paura. Tommaso era incredulo nel senso che quello che era successo gli sembrava troppo grande: non gli pareva possibile che amare fino a dare la vita potesse far passare attraverso la morte e rinascere.
Tommaso vuole verificare proprio questo: se davvero l’amore oltrepassa la morte. Questa è l’esperienza che vuole fare: se la mano di Colui che ha detto che “nessuno vi strapperà dalla mia mano” è proprio quella stessa mano inchiodata, trafitta; se quella è la mano di Colui che rimane fedele; se la mano che lui ha visto fare del bene agli uomini, il costato trafitto che testimonia il dono di sé, sono proprio quelli del Signore.
Quando sente la voce che gli parla non ha più bisogno di alcuna verifica; proclama la sua adesione: “Mio Signore e mio Dio”. L’aggettivo “mio” dice appartenenza: ma qui non significa più appropriazione; qui significa rinuncia a sé stesso: “Tu sei mio Signore e mio Dio, perché io sono tuo discepolo”
La professione di fede di Tommaso si trasforma in accoglienza piena e totale del Figlio Gesù; l’accoglienza del Figlio come “mio Signore e mio Dio” apre il cuore alla scoperta stupita e gioiosa per la misericordia che il Padre ha manifestato nel Figlio.