Quarta domenica di Quaresima (22/03/2020)


Quarta domenica di quaresima

Vi invito anzitutto a rileggere l’introduzione della scorsa settimana: è importante  riscoprire il rapporto del Vangelo di queste Domeniche di Quaresima con il Battesimo, il cammino di fede dei Catecumeni (anche post-battesimali, come noi!)  e gli Scrutini.
Il brano di oggi è un po’ una sintesi di questo cammino di fede: si parte dalle domande che vengono fatte al ragazzo nato cieco, per giungere alla sua guarigione  e al suo affidarsi al Signore.
Mi ha da sempre affascinato l’usanza antichissima di chiamare il Battesimo “illuminazione” . Oggi, forse, possiamo capire il motivo di questa scelta:

  • il cieco non vedeva la luce, ed ora la vede, illuminato dalla fede;
  • è come se rinascesse: come se “venisse alla luce” una seconda volta.

Letture

Colletta

O Padre, che per mezzo del tuo Figlio operi mirabilmente la nostra redenzione, concedi al popolo cristiano di affrettarsi con fede viva e generoso impegno verso la Pasqua ormai vicina. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

Amen

Prima Lettura

1Sam 16,1.4.6-7.10-13

Dal primo libro di Samuele

In quei giorni, il Signore disse a Samuele: «Riempi d’olio il tuo corno e parti. Ti mando da Iesse il Betlemmita, perché mi sono scelto tra i suoi figli un re». Samuele fece quello che il Signore gli aveva comandato.
Quando fu entrato, egli vide Eliàb e disse: «Certo, davanti al Signore sta il suo consacrato!». Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l’ho scartato, perché non conta quel che vede l’uomo: infatti l’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore».
Iesse fece passare davanti a Samuele i suoi sette figli e Samuele ripeté a Iesse: «Il Signore non ha scelto nessuno di questi». Samuele chiese a Iesse: «Sono qui tutti i giovani?». Rispose Iesse: «Rimane ancora il più piccolo, che ora sta a pascolare il gregge». Samuele disse a Iesse: «Manda a prenderlo, perché non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui». Lo mandò a chiamare e lo fece venire. Era fulvo, con begli occhi e bello di aspetto.
Disse il Signore: «Àlzati e ungilo: è lui!». Samuele prese il corno dell’olio e lo unse in mezzo ai suoi fratelli, e lo spirito del Signore irruppe su Davide da quel giorno in poi.

Parola di Dio.
Rendiamo grazie a Dio.

Salmo Responsoriale

Sal.22

RIT: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l’anima mia.

Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.

Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.

Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Seconda Lettura

Ef 5,8-14

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni

Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità. Cercate di capire ciò che è gradito al Signore. Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente. Di quanto viene fatto in segreto da [coloro che disobbediscono a Dio] è vergognoso perfino parlare, mentre tutte le cose apertamente condannate sono rivelate dalla luce: tutto quello che si manifesta è luce. Per questo è detto: «Svégliati, tu che dormi, risorgi dai morti e Cristo ti illuminerà».

Parola di Dio.
Rendiamo grazie a Dio.

Canto al Vangelo

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Io sono la luce del mondo, dice il Signore;
chi segue me, avrà la luce della vita

Lode a te, o Cristo, re di eterna gloria!

Vangelo

Gv 9,1-41

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo».
Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.
Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli domandarono: «In che modo ti sono stati aperti gli occhi?». Egli rispose: «L’uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, me lo ha spalmato sugli occhi e mi ha detto: “Va’ a Sìloe e lavati!”. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov’è costui?». Rispose: «Non lo so».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori di lui risposero: «Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età, parlerà lui di sé». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l’età: chiedetelo a lui!».
Allora chiamarono di nuovo l’uomo che era stato cieco e gli dissero: «Da’ gloria a Dio! Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore». Quello rispose: «Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l’ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Lo insultarono e dissero: «Suo discepolo sei tu! Noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell’uomo: «Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».

Parola del Signore.
Lode a Te o Cristo.

Riflessione

“Rabbì, chi ha peccato?”

Il vangelo di oggi inizia con una domanda che i discepoli hanno nel cuore e rivolgono a Gesù: “Di chi è la colpa,  per il fatto che quel ragazzo è nato cieco? Una malattia così grave deve essere certamente la punizione per un peccato gravissimo”.

E’ una domanda che Gesù respinge drasticamente, perché conduce mente e cuore in direzione opposta all’annuncio del Regno di Dio (che è il motivo per cui il Figlio di Dio si è fatto Uomo), alla scoperta che Dio ci è Padre e ha a cuore la nostra salvezza.

Qualche “uomo di chiesa”, negli scorsi giorni, ha pensato di dover leggere in questi termini fuorvianti anche la nostra attuale situazione, come se il “coronavirus” fosse il castigo di Dio (o della Vergine Maria!) per i nostri peccati; c’è da pensare che Gesù risponderebbe oggi in modo altrettanto drastico: non possiamo continuare a ragionare in un modo così tipicamente umano, che non tiene in alcun conto l’annuncio del Regno: la novità della “buona notizia” che Gesù Cristo ha portato nella nostra vita e per la nostra vita.

In discussione non è la colpa (mia, tua, o di tutti!), ma l’esigenza che “si manifesti l’opera di Dio in lui”. Questo cambia la prospettiva da cui guardare alla nostra vita: l’uomo tale e quale è  (cioè peccatore!),  è il luogo vivo dove si manifesta Dio, dove si manifesta la Sua opera, la Sua redenzione.

Guardare a noi stessi come luogo dove si può manifestare l’opera di Dio ci pone (finalmente!) nella prospettiva giusta per guardare alla nostra storia come storia in cui Dio si rivela come salvatore.

“fece del fango con la saliva”  

Abbiamo scoperto in questi giorni (e capito, spero!) che la saliva è la strada attraverso la quale il “coronavirus” ci può contagiare, fino a farci morire.

Gesù che sputa a terra e fa del fango, invece, è il segno che sta per compiersi  una creazione nuova.

Nel linguaggio della Bibbia, la saliva è la condensa del respiro; all’inizio, nella prima creazione, l’uomo, secondo il racconto biblico, nasce dalla terra e dal “respiro” (il soffio) di Dio.

Adesso Gesù, il Figlio fatto Uomo, compie una nuova creazione dell’uomo: usa la terra e il suo respiro condensato; manda il ragazzo a bagnarsi nella piscina di Siloe, la piscina posta fuori delle mura di Gerusalemme, dove gli Ebrei battezzavano i pagani che volevano convertirsi.

Siloe significa “Inviato”:  è lo Spirito Santo (lo Spirito/ “soffio” del Figlio Gesù) ad essere inviato. Lì, lavandosi nella piscina, il ragazzo cieco incontrerà lo Spirito di Dio; rinascerà dallo Spirito; verrà alla luce di una vita nuova.

E’ quello che è avvenuto per noi nel Battesimo! Prima nasciamo alla vita della carne, poi  diventiamo uomini secondo Dio. Ma lo Spirito non possiamo darcelo da soli, dobbiamo riceverlo in dono.  Ricordate le parole di Gesù alla Samaritana, domenica scorsa? “Se tu conoscessi il dono di Dio!” . Anche il ragazzo nato cieco non sa come è il mondo con la luce; tuttavia, egli accetta il dono di Gesù: accoglie il dono. Già nel Prologo al suo vangelo, Giovanni dice: “A quelli che lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” .

Questo ragazzo guarito diventa figlio di Dio perché riceve e accoglie lo Spirito.

“Tu credi nel Figlio dell’Uomo?”
“Credo, Signore! E si prostrò dinanzi  Lui”

La gente che è attorno al ragazzo guarito continua a farsi domande inutili, a giudicare secondo la carne e non secondo lo Spirito.

L’interrogatorio delle autorità religiose al ragazzo guarito  rivela che essi non vogliono riconoscere l’opera di Cristo.

Loro interpretano le cose partendo da una propria idea, partendo da una propria visione delle cose, mentre il cieco guarito interpreta l’evento che è accaduto confrontandosi con quell’uomo che si chiama Gesù.

“Sappiamo che questo nostro figlio è nato cieco; ma come ora ci veda, non lo sappiamo; e chi gli ha aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l’età; parlerà lui di sé” 

L’ultima questione è aperta dai genitori: preferiscono avere un figlio cieco e stare in pace, piuttosto che avere un figlio libero, nuovo, uomo vero, carne e spirito ed essere “tirati in ballo”.  Sono dominati dalla paura di farsi coinvolgere e chiudono la questione rimandando a lui le risposte.

Il vangelo ci porta così diritti ai nostri giorni, all’Iniziazione Cristiana dei bambini battezzati  (catecumenato post-battesimale) e ai loro genitori. Ma questo è un campo in cui (nel bene e nel male!) siamo esperti: non ci servono altre parole; può bastarci un esame di coscienza.

Ulteriori spunti di riflessione

L’assedio del male e le risposte . Una domanda vera e forte

Marina Corradi sabato 14 marzo 2020

Le chiese vuote di questa amara primavera, gli altari spogli, i tabernacoli serrati inducono un percepibile malessere fra i credenti “forti”, fra quanti aprono la giornata recitando le Lodi, o vanno alle Messe feriali, alle sette del mattino, prima del lavoro. Un popolo di Dio fedele, che vede nell’Eucarestia un indispensabile pane. C’è gente, e tanta, che nella sospensione delle Messe “con concorso di popolo” si è sentita deprivata di qualcosa di essenziale: quel corpo di Cristo, che la aiuta a portare la fatica quotidiana.
Ci sono fedeli che si sono arrabbiati, e solo più tardi hanno capito le ragioni della Chiesa. Alcuni invece insistono con i sacerdoti perché celebrino messe “clandestine”, quasi fossero tornati i tempi della Rivoluzione francese, e forse per questo si sentono più cristiani e più coraggiosi degli altri.
Ma, e se questa Quaresima che quasi ovunque in Italia è cominciata senza il rito delle Ceneri, senza il “Ricordati che sei polvere…” – da cui usciamo, in tanti, scrollandoci veloci dai capelli la cenere e i relativi sgradevoli pensieri – fosse una domanda che ci viene posta?
I più fedeli di quei credenti in sofferenza sono abituati a seguire i digiuni e gli esercizi e le Via Crucis della Quaresima, percorrendo una strada conosciuta e in fondo cara. E se la vera Quaresima che ci viene chiesta in questo marzo fosse proprio l’abbandono della via consueta, e il lasciarci condurre per sentieri sconosciuti, faticosi, per alcuni drammatici; dentro città irriconoscibili, fra familiari e amici sgomenti?
Non sa forse un poco di Quaresima restare in coda per ore davanti a un supermercato, per gente abituata a entrare da padrona in enormi centri commerciali dove la merce sovrabbondante ci viene quasi buttata addosso?
Non sono una mai vista Quaresima le nostre strade assurdamente mute, senza un caffè dove si giochi a carte o si beva un bianchino, e i cortili delle scuole desolati e vuoti, all’ora della ricreazione?
Il tempo di meditazione e povertà che prepara alla Pasqua, in questi giorni di malattia, isolamento e paura del coronavirus sembra materialmente incarnato: oltre le pure buone abitudini, oltre ciò cui siamo abituati.
Pare che tutt’altro ci venga chiesto, quest’anno, da un Dio che alcuni dicono di sentire “lontano”: e invece forse è estremamente vicino. Senza bisogno di cercarlo in Messe “segrete”.
La cappa del virus che si allarga non è un segno, un invito forte e brusco a fermarci? A guardare la faccia del vecchio della porta accanto magari per la prima volta, a dargli una mano?
Gli infermieri dei reparti di rianimazione ripetono in tv che non potranno scordare gli occhi di malati strappati in un giorno alla loro vita consueta; non potranno scordare la domanda muta di quegli occhi. Non è profonda Quaresima, forse, lasciarsi interrogare da quegli sguardi, e ricordarci del desiderio che abita nel fondo degli uomini?
Poche mesi fa i siti web dei quotidiani italiani aprivano il notiziario con Morgan che, a Sanremo, litigava con un il collega Bugo.
Intanto i social erano un fiume in piena di haters, di “odiatori”, quelli che insultano tutti, forti dell’anonimato. L’Italia era nelle condizioni economiche che ben conosciamo, con la consueta disoccupazione giovanile alle stelle, e sulle rive orientali e meridionali del Mediterraneo proseguiva il normale massacro di migranti, mentre sui muri degli ignoti scrivevano “sporchi ebrei” o “sporchi negri”.
Tuttavia l’Italia sembrava ipnotizzata da quei due, a Sanremo, che litigavano – se poi era vero.
Quanto è lontana da allora l’Italia di oggi, con medici e infermieri stremati in corsia, e vecchi che soffrono (e muoiono) da soli, implorando chi passa loro vicino di mandare un messaggio col cellulare ai figli. Quanto è lontana l’ansia di chi trema per una persona cara, nel rimpianto magari di non esserle stata, prima, abbastanza vicina.
E anche per la stragrande maggioranza di noi, costretta in casa, smarrita, preoccupata per il futuro, non cambia la concezione del tempo, la riflessione sul tempo e il suo senso? Non scoprono forse, tanti adolescenti, che felicità non è scuole chiuse e chattare sul divano, e che manca invece l’amico e perfino il professore: che manca l’altro, in funzione del quale, e non per noi soli, viviamo?
«Ci organizziamo il domani nei nostri pensieri, ma poi tutto va in modo diverso, molto diverso», scriveva a 26 anni Etty Hillesum, ebrea olandese dal campo nazista di Westerbork.
Anche noi, speriamo meno tragicamente, ci troviamo di fronte agli inimmaginati sentieri di una dolorosa Quaresima. Vorremmo ritrovare quelli, ben noti, di sempre. Eppure, se questo buio marzo fosse un’occasione? Non certo castigo, come gridano alcuni, ma domanda forte. Di verità su ciò che siamo, e di amore fra noi.

Partire da soli, nel gran silenzio

Marina Corradi mercoledì 18 marzo 2020

Se c’è il sospetto del virus, il malato viene condotto in ospedale da solo. Moglie e figli non possono accompagnarlo in ambulanza.
Magari non è grave, e ritornerà presto. Ma se bene non sta affatto, e se peggiorerà, andrà incontro al suo destino senza nessuno accanto.
Certo, infermieri e medici cercheranno di alleviarne le sofferenze, pure nel sovraccarico annichilente di lavoro. Volti stanchi, gentili sotto le mascherine gli occhi: ma volti ignoti, e che non possono fermarsi troppo accanto a un solo malato. Attorno muri candidi, odore di disinfettanti, nel lieve rumore dell’ossigeno pompato nei polmoni sempre più a fatica: fino a quando sul monitor accanto al letto il tracciato aguzzo del cardiogramma rallenta, e, arreso, si fa linea retta.
Il gran silenzio che accompagna la morte di ogni uomo in queste ore non ha un figlio, o un fratello al capezzale. E anche se nelle ultime ore non si è più coscienti, non posso non pensare agli sguardi di quegli anziani che, caricati sulle ambulanze, partono dalla loro casa, dopo magari cinquant’anni di matrimonio, senza il marito o la moglie, né i nipoti tanto amati. Senza nessuno che tenga loro una mano.
Partire soli. Non è il destino che si sarebbero aspettati, e chissà quanto lo smarrimento, come di vecchi bambini abbandonati, affanna il respiro, nella corsa verso l’ospedale.
Bisognerebbe, ad ogni sirena di ambulanza, fermarsi e allargare il cuore a quegli sconosciuti che forse non torneranno. (Pregare per quelli di cui nemmeno sai il nome, è qualcosa che lascia uno strano bene addosso. Quasi si fosse aperta una fessura nella reclusione dell’Io, in cui in tanti viviamo).

Polveri bagnate

Don Angelo Riva – Settimanale della Diocesi di Como

Dopo aver digiunato quaranta giorni, “Gesù ebbe fame”.
Il particolare sembrerebbe ovvio, ma non lo è. Perché proprio quello è lo scopo del digiuno: farti sentire fame: cioè che qualcosa (il cibo) ti manca.
Il digiuno rompe uno stato di sazietà, dentro il quale potresti covare l’illusione di essere autonomo; torni a capire che sei veramente un povero, un mendicante, un bisognoso.
Il digiuno non ha niente a che vedere con il disprezzo delle cose; men che meno con il disprezzo di sé (come teme l’uomo moderno). Al contrario: il digiuno è prendersi cura di sé e della propria verità. E’ un esercizio di realtà contro le illusioni.
Proprio per questo le religioni si sono sempre inventate i “digiuni volontari” (come il nostro “mangiare magro” nei venerdì di Quaresima); quelli “non voluti”, cioè imposti dalla vita a volte scarseggiano (specialmente nella società del benessere), oppure fatichiamo a riconoscerli.
Ma quest’anno non abbiamo dovuto inventarci niente: ci sta pensando la vita stessa con il flagello del “corona-virus” a caricarci sulle spalle un bel macigno di digiuni “non voluti”.
Digiunare dal muoversi, dallo spostarsi, dagli incontri, dagli abbracci; dal poter iniziare una normale settimana lavorativa o scolastica, dall’andare al supermercato, al bar, o…alla messa della domenica.
Per qualcuno, poi, un digiuno durissimo dalla salute (chi si è ammalato), dagli affetti (nei confronti di chi è contagiati), dal poter stare accanto a chi muore, dal rendere l’ultimo saluto ai defunti con il funerale.
D’improvviso rischiamo di sentirci montare l’angoscia, come quando senti mancare l’appoggio scendendo le scale.
Sapevamo della salute, che ti accorgi di averla quando ti viene a mancare, ma lo stiamo scoprendo per tante altre cose!
C’è un altro digiuno forzato che ci sta facendo particolarmente penare: il “digiuno pastorale”; cioè la condanna – come comunità cristiana – all’inazione, proprio nel momento che c’è gente che sta malissimo e che avrebbe bisogno della vicinanza della Chiesa.
Di fronte ai pasticci e alle sberle della vita, quando la gente (buona o cattiva) va a sbattere, la Chiesa ha sempre cercato di esserci”, (accorrere, stare lì anche solo con uno sguardo, una presenza, una stretta di mano); di “pregare insieme”.
Ebbene: nel tempo del corona-virus  queste due armi ci sono come inceppate in mano; e proviamo una profonda, pungente amarezza.
Costretti (doverosamente!) all’inazione (o meglio: a quelle sole azioni che sono la preghiera personale, la comunione spirituale, o un messaggio, una telefonata) ci sembra di avere le polveri bagnate. Per carità: sappiamo che il mondo l’ha già salvato Gesù Cristo; ma la povertà dello scoprirsi una Chiesa “spuntata” in questi tempi di corona-virus aggiunge danno al danno. E ci fa soffrire.