Le letture della XIX Domenica del Tempo Ordinario sono disponibili al seguente link, cliccando qui.
Riflessione
“I Giudei si misero a mormorare contro Gesù, perché aveva detto:<Io sono il pane disceso dal cielo>”
Il verbo “mormorare” parla di opposizione, rifiuto. I Giudei non volevano accettare il manifestarsi della volontà di Dio nella Nuova Alleanza: salvare attraverso il Figlio fatto Uomo, nel segno del cibo che nutre e fa vivere; preferivano fare riferimento al segno (la manna nel deserto) e al significato (la Torah, la Legge) della Prima Alleanza, quella nata nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù in Egitto. I Giudei rifiutavano il significato (Gesù, pane vivo) del segno (il pane moltiplicato). Motivo del rifiuto è il modo con cui Dio scegli di rivelarsi e di agire; è troppo diverso da quello che loro ritenevano giusto. Questo eccesso di vicinanza non è gradito: interferisce troppo con le scelte della vita. La Legge consentiva un rapporto più distaccato; il rivelarsi di Dio nella “carne” (vita) di Gesù tocca troppo da vicino l’umanità: è troppo coinvolgente. In Gesù Dio ci propone una relazione, vuole “attirarci” in un rapporto da figli, in un rapporto di amore: Dio è Padre che dona e si dona. Al di fuori da questa relazione, ci può essere religiosità, ma non c’è fede. Non possiamo essere noi a colmare la distanza tra Dio e noi. E’ Dio Padre che colma la distanza: donando suo Figlio, apre a noi la partecipazione alla vita divina; è vivendo da figli di Dio, che salviamo la nostra vita. Noi siamo convinti (se e quando va bene!) che sia la conoscenza di Dio a salvare (“andare a dottrina”); in realtà ci salviamo solo accogliendo Colui che il Padre ha mandato (Gesù) e nutrendo la nostra vita nel rapporto con Lui (“pane vivo disceso dal cielo”).
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”
E’ questo che crea difficoltà alla fede dei Giudei (e nostra?!): che la “carne” (la vita umana) di Gesù possa essere luogo vivo in cui Dio si rivela e salva. La “carne” attraverso la quale Dio continua a rivelarsi e a salvare è la nostra vita quotidiana, se la viviamo in comunione con la vita di Gesù. Invece noi siamo sempre tentati di ricacciare Dio ai margini della nostra vita, di non consentirgli di diventare “carne della nostra carne”. Per questo, quando la realtà della vita smentisce le nostre aspettative, quando vengono a galla la vulnerabilità della nostra vita umana e i suoi limiti, noi andiamo in crisi: anche di fede. Noi vorremmo prendere soltanto alcuni aspetti della vita di Dio dentro la nostra vita; invece (ci dice Gesù) Dio va accolto per intero: nutrirci di Lui (“pane vivo disceso dal cielo”) vuol dire lasciare che la nostra vita sia assimilata dalla sua, imparare a vivere come Lui, da figli. Per questo Gesù ci ha donato l’Eucaristia.
“Ora basta, Signore”
Io sono molto affezionato alla figura del profeta Elia: è commovente la fragilità che rivela nell’episodio che abbiamo ascoltato oggi. La fede non è una scelta immediata e una volta per tutte. Elia è costretto dagli eventi della sua vita a modificare il suo sguardo su Dio e su di sé; arriva persino a desiderare la morte: sceglie il deserto, la “non vita”. Proprio lì, Dio gli fa comprendere che si prenderà cura di lui; lo fa attraverso il segno povero del pane e dell’acqua. Elia, però, deve fare la fatica di alzarsi, per accogliere questo dono di Dio.
“Sostienici, Signore, con la forza del cibo che non perisce”