XIX Domenica del Tempo Ordinario (9/08/2020)


XIX Domenica del Tempo Ordinario

Le letture della XIX Domenica del Tempo Ordinario sono disponibili al seguente link, cliccando qui.

Riflessione

Il Vangelo di questa domenica ci dona un altro “segno” del Regno dei cieli, dopo quello della moltiplicazione dei pani operata da Gesù per saziare la fame e la povertà della nostra vita. Anche in questa seconda occasione scopriamo l’incontrarsi di grande forza nell’azione di Gesù e di grande debolezza nell’azione dei discepoli. L’atteggiamento di Gesù è molto determinato, quasi eccessivo, incomprensibile: “Subito costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva”; vuole che affrontino da soli la traversata; vuole che si rendano conto della loro debolezza, della loro fragilità di fronte alla tempesta. Anche Gesù vuole stare da solo, sul monte, ma lo fa per pregare: “Salì sul monte, in disparte, a pregare…se ne stava lassù, da solo”. Gesù vuole (deve) ricostruire la sua relazione con il Padre e con la sua volontà: la tentazione di crogiolarsi nel successo ottenuto moltiplicando i pani e di sfruttare una situazione umana a lui favorevole è alta; ma non dice la verità su di Lui e sulla sua vita.
È così anche per noi e per la nostra vita. La verità sulla nostra vita è ben descritta nel Vangelo di oggi: una traversata in ambiente ostile o per lo meno rischioso; i contrasti e le opposizioni (le onde e il vento contrario). In tutto questo ci sono momenti in cui ci sentiamo soli e abbandonati, momenti in cui sembra che il Signore non sia presente e si sia dimenticato di noi. Questa è la grande debolezza dei discepoli di allora e di oggi: ne faranno esperienza quando saranno posti di fronte alla Pasqua di Gesù; ne fa esperienza, da allora e sempre, la Chiesa (cioè ognuno di noi battezzati!). Nel vivere con fede la nostra vita, noi vorremmo la presenza costante e confortante di Gesù, ma Lui si rende presente in un modo nuovo, che non corrisponde nei tempi e nei modi a quello desiderato e deciso da noi: Gesù è presente con il dono del suo Spirito, lo Spirito Santo. Noi, come i discepoli di allora, dovremmo avere acquisito nel nostro patrimonio di fede gli elementi necessari e sufficienti a riconoscere Gesù presente nella nostra vita in questo modo nuovo, quello che ha inizio nella Pasqua / Pentecoste: dovrebbe essere questo il frutto dell’Iniziazione Cristiana e della vita sacramentale. In realtà questo non avviene così automaticamente: abbiamo, perciò, gli elementi necessari e sufficienti, ma non sappiamo (o non vogliamo?!) usarli; così la nostra fede non ci accompagna nella “traversata” che è la vita.

“Coraggio, sono io, non abbiate paura”.
Gesù ci viene incontro nella notte, camminando sul mare in tempesta, con la forza e la volontà di salvarci: noi rischiamo di non riconoscerlo, perché non corrisponde a come lo vorremmo (“E’ un fantasma”). Gesù dice: “Sono Io”; “Io sono” è il nome rivelato da Dio a Mosè; noi, come Pietro diciamo: “Se sei Tu”.

“Comandami di venire verso di te sulle acque”
È bello questo desiderio di Pietro (magari l’avessimo anche noi stabilmente!): vuole entrare in questo modo nuovo di rapportarsi con Gesù; vuole fare esperienza di questa esistenza che nasce dalla Pasqua di Gesù; si mette in cammino. L’esistenza che nasce dalla Pasqua è un cammino che nasce dal Battesimo; la nostra vita sacramentale è segnata da un “già” non ancora definitivo: l’esperienza della fede e del rapporto con Gesù è un “camminare sull’acqua”. Conosciamo anche noi l’esperienza di Pietro: vento forte, onde alte, paura di affondare.

Chiediamo la grazia

  • di essere sempre pronti a gridare: “Signore, salvami”;
  • di lasciarci sempre afferrare dalla mano di Gesù, tesa verso di noi;
  • di lasciarci sempre richiamare dalla voce di Gesù che con misericordia ci dice: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”.

Meditazione del Santo Padre

Preparando l’omelia per la 19° Domenica del Tempo Ordinario (09 Agosto), mi è tornata alla mente la meditazione che Papa Francesco ha fatto il 27 Marzo scorso nella piazza deserta di S. Pietro.
Il brano commentato dal Papa fa riferimento al Vangelo secondo Marco; il vangelo che ascoltiamo in questa domenica è preso dal Vangelo secondo Matteo: ma la riflessione del Papa conserva tutta la sua forte e profonda attualità.
Mi è sembrato giusto riproporla alla nostra attenzione.

 «Venuta la sera» (Mc 4,35). Così inizia il Vangelo che abbiamo ascoltato. Da settimane sembra che sia scesa la sera. Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite, riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo trovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti. Come quei discepoli, che parlano a una sola voce e nell’angoscia dicono: «Siamo perduti» (v. 38), così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme.

È facile ritrovarci in questo racconto. Quello che risulta difficile è capire l’atteggiamento di Gesù. Mentre i discepoli sono naturalmente allarmati e disperati, Egli sta a poppa, proprio nella parte della barca che per prima va a fondo. E che cosa fa? Nonostante il trambusto, dorme sereno, fiducioso nel Padre – è l’unica volta in cui nel Vangelo vediamo Gesù che dorme –. Quando poi viene svegliato, dopo aver calmato il vento e le acque, si rivolge ai discepoli in tono di rimprovero: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?» (v. 40).

Cerchiamo di comprendere. In che cosa consiste la mancanza di fede dei discepoli, che si contrappone alla fiducia di Gesù? Essi non avevano smesso di credere in Lui, infatti lo invocano. Ma vediamo come lo invocano: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?» (v. 38). Non t’importa: pensano che Gesù si disinteressi di loro, che non si curi di loro. Tra di noi, nelle nostre famiglie, una delle cose che fa più male è quando ci sentiamo dire: “Non t’importa di me?”. È una frase che ferisce e scatena tempeste nel cuore. Avrà scosso anche Gesù. Perché a nessuno più che a Lui importa di noi. Infatti, una volta invocato, salva i suoi discepoli sfiduciati.

La tempesta smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità. Ci dimostra come abbiamo lasciato addormentato e abbandonato ciò che alimenta, sostiene e dà forza alla nostra vita e alla nostra comunità. La tempesta pone allo scoperto tutti i propositi di “imballare” e dimenticare ciò che ha nutrito l’anima dei nostri popoli; tutti quei tentativi di anestetizzare con abitudini apparentemente “salvatrici”, incapaci di fare appello alle nostre radici e di evocare la memoria dei nostri anziani, privandoci così dell’immunità necessaria per far fronte all’avversità.Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri “ego” sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, la tua Parola stasera ci colpisce e ci riguarda, tutti. In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato. Ora, mentre stiamo in mare agitato, ti imploriamo: “Svegliati Signore!”.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Signore, ci rivolgi un appello, un appello alla fede. Che non è tanto credere che Tu esista, ma venire a Te e fidarsi di Te. In questa Quaresima risuona il tuo appello urgente: “Convertitevi”, «ritornate a me con tutto il cuore» (Gl 2,12). Ci chiami a cogliere questo tempo di prova come un tempo di scelta. Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è. È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri. E possiamo guardare a tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita. È la forza operante dello Spirito riversata e plasmata in coraggiose e generose dedizioni. È la vita dello Spirito capace di riscattare, di valorizzare e di mostrare come le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. Davanti alla sofferenza, dove si misura il vero sviluppo dei nostri popoli, scopriamo e sperimentiamo la preghiera sacerdotale di Gesù: «Che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». L’inizio della fede è saperci bisognosi di salvezza. Non siamo autosufficienti, da soli; da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle. Invitiamo Gesù nelle barche delle nostre vite. Consegniamogli le nostre paure, perché Lui le vinca. Come i discepoli sperimenteremo che, con Lui a bordo, non si fa naufragio. Perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai.

Il Signore ci interpella e, in mezzo alla nostra tempesta, ci invita a risvegliare e attivare la solidarietà e la speranza capaci di dare solidità, sostegno e significato a queste ore in cui tutto sembra naufragare. Il Signore si risveglia per risvegliare e ravvivare la nostra fede pasquale. Abbiamo un’ancora: nella sua croce siamo stati salvati. Abbiamo un timone: nella sua croce siamo stati riscattati. Abbiamo una speranza: nella sua croce siamo stati risanati e abbracciati affinché niente e nessuno ci separi dal suo amore redentore. In mezzo all’isolamento nel quale stiamo patendo la mancanza degli affetti e degli incontri, sperimentando la mancanza di tante cose, ascoltiamo ancora una volta l’annuncio che ci salva: è risorto e vive accanto a noi. Il Signore ci interpella dalla sua croce a ritrovare la vita che ci attende, a guardare verso coloro che ci reclamano, a rafforzare, riconoscere e incentivare la grazia che ci abita. Non spegniamo la fiammella smorta (cfr Is 42,3), che mai si ammala, e lasciamo che riaccenda la speranza.

Abbracciare la sua croce significa trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente, abbandonando per un momento il nostro affanno di onnipotenza e di possesso per dare spazio alla creatività che solo lo Spirito è capace di suscitare. Significa trovare il coraggio di aprire spazi dove tutti possano sentirsi chiamati e permettere nuove forme di ospitalità, di fraternità, di solidarietà. Nella sua croce siamo stati salvati per accogliere la speranza e lasciare che sia essa a rafforzare e sostenere tutte le misure e le strade possibili che ci possono aiutare a custodirci e custodire. Abbracciare il Signore per abbracciare la speranza: ecco la forza della fede, che libera dalla paura e dà speranza.

«Perché avete paura? Non avete ancora fede?». Cari fratelli e sorelle, da questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta. Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio. Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Ci chiedi di non avere paura. Ma la nostra fede è debole e siamo timorosi. Però Tu, Signore, non lasciarci in balia della tempesta. Ripeti ancora: «Voi non abbiate paura» (Mt 28,5). E noi, insieme a Pietro, “gettiamo in Te ogni preoccupazione, perché Tu hai cura di noi” (cfr 1 Pt 5,7).