XVIII Domenica del Tempo Ordinario (2/08/2020)


XVIII Domenica del Tempo Ordinario

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Riflessione

Nel capitolo 13 del Vangelo secondo Matteo, Gesù, con le parabole, ha annunciato e spiegato “il Regno dei cieli”: Dio è entrato in rapporto con gli uomini per salvare la loro vita, per accompagnarli, per salvarli. Ora (capitolo 14) Gesù, sfamando “a sazietà” le folle che lo stanno seguendo, compie “un segno” che rende manifesta l’azione di Dio per la salvezza degli uomini.

A chi è rivolto questo “segno”? Chi ne ha bisogno?

Anzi tutto le folle che lo stanno seguendo portando con sé la propria fame e le proprie malattie: noi,  con la nostra umanità povera e malata (in tutti i sensi!).
Poi i discepoli (ancora noi!), che non hanno ancora accolto l’annuncio e imparato ad accogliere il significato del “Regno dei cieli”: vorrebbero congedare le folle, perché portino via con sé i propri problemi e la propria fame di salvezza e provvedano da sole a risolvere le loro difficoltà; d’altronde loro (noi!) non hanno cibo sufficiente neanche per sé (cinque pani e due pesci!).
Ma (a me sembra) ne ha bisogno ancheGesù, per continuare ad essere per noi il segno vivo del Padre: “sentire compassione per le folle” (l’umanità, noi), sfamare a sazietà e in abbondanza la nostra vita. Gesù diventa per noi segno vivo del Padre “alzando gli occhi al cielo e recitando la benedizione”, rinnovando nella preghiera il proprio rapporto di Figlio con il Padre. La sensazione di questo “bisogno” di Gesù mi è suggerita dalle prime parole del Vangelo di oggi, dal suo “ritirarsi in disparte in luogo deserto”: la tragica morte di Giovanni Battista è un duro colpo anche per Lui; ha bisogno di rientrare in sé stesso e rinnovare nella preghiera la propria fiducia in quella “azione di Dio” (il Regno dei cieli) che sta annunciando.

La notizia del martirio di Giovanni Battista è, per Gesù, molto dura da accettare: per motivi umani; per motivi di fede.
I motivi umani: la parentela, l’amicizia, la condivisione degli ideali, la generosità con cui Giovanni Battista ha rinunciato ai suoi discepoli inviandoli dietro a Gesù. Quanto più è profondo il rapporto umano, tanto più la morte di un amico, di una persona cara fa morire qualcosa in noi. A questo proposito, portiamo dentro di noi esperienze personali (la morte di persone care) ed esperienze comunitarie (per esempio, la pandemia). Sono le nostre povertà (la nostra fame) che tornano a galla, nonostante la costante tentazione di “stra-saziarci” di altro, di “ingozzare” le nuove generazioni di tutto, tranne che di ciò che soddisfa veramente la “fame di vita”. Vedete? I motivi umani vanno già a confondersi con i motivi spirituali (quelli della fede!), nonostante la nostra abilità (o volontà!) a tenere separate vita e fede. Forse la nostra fede si è attenuata fino a rimanere sommersa dalle esigenze materiali; questa situazione ha un nome difficile (secolarizzazione), ma è facile da assimilare e praticare!
I motivi di fede: si erano già evidenziati in Giovanni Battista, quando non riusciva a tenere insieme la sua sconfitta (la prigionia) con l’annuncio del Regno di Dio. Nemmeno Gesù attraversa con facilità questi dubbi; per questo “si ritira”: vuole pensare a quello che sta accadendo con l’aiuto della fede; vuole rimettere in collegamento la fede con la vita, le vicende della vita con l’agire di Dio. È quello che dovremmo fare anche noi con la preghiera: ma lo facciamo troppo poco; e ci riesce piuttosto male! Gesù, invece, esce rinnovato da questa esperienza di rapporto con sé stesso e con il Padre; riscopre la missione che il Padre gli ha affidato: essere per l’umanità il segno vivente di un Dio presente a sostenere, accompagnare e salvare l’umanità alle prese con la sua miseria; per questo “sente compassione per loro e guarisce i loro malati”; per questo sazia la loro fame”.

Gesù torna ad essere il Maestro per i suoi discepoli che gli suggeriscono: “Ognuno pensi a sé stesso! Congeda la folla, perché provveda da sola a sfamarsi!”. È la tentazione (sempre forte!) di scaricare il problema, di lavarsene le mani, di girare la testa dall’altra parte per non vedere.
Gesù, invece, dice: “Voi stessi date loro da mangiare”. Nella storia (passata e presente) della Chiesa e dell’umanità ci sono persone che hanno accolto e fatto proprio l’invito di Gesù. Se ci pensiamo con attenzione, ritroviamo anche nella nostra storia personale persone che, per nutrire la nostra vita, hanno “spezzato” la propria vita, dividendo con noi le proprie risorse umane e materiali.
Anche a noi Gesù chiede di riscoprire con umiltà e consapevolezza la povertà (la fame) che accompagna la vita nostra e dell’umanità; di conservare e alimentare la nostra fede nel “Signore che apre la sua mano” per saziarci con il suo amore. A noi, figli nati dal Battesimo, il Figlio Gesù chiede anche di rivelare e rendere viva tra gli uomini l’attenzione premurosa e amorevole di Dio, Padre di tutti: così come ha fatto Lui.