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Riflessione
Per capire, vivere e celebrare il senso di questa Festa della Trasfigurazione del Signore, dobbiamo provare a metterci dalla parte dei tre discepoli (Pietro, Giacomo e Giovanni), insieme con loro: avranno provato tante volte a capire chi era quell’uomo che stavano seguendo.
Avevano deciso di seguirlo, abbandonando la loro vita di pescatori, perché avevano intuito che Gesù non era solo uno dei tanti “rabbì” (maestro); eppure tanti aspetti della identità di Gesù sfuggivano ancora alla loro comprensione.
Pietro aveva anche provato a dirlo, a nome di tutti: “Tu sei il Cristo” (il Messia atteso da sempre). Poi, però, Gesù aveva spiegato in che modo si sarebbe svolta la Pasqua della Nuova Alleanza (Passione, Morte e Risurrezione); Gesù aveva anche chiesto a loro di seguirlo, partecipando alle sue sofferenze, per “passare” con lui nel rinnovato rapporto con il Padre.
Qui il discorso si era incagliato nel rifiuto dei discepoli.
Per questo Gesù offre ai discepoli, trasfigurandosi, un’anticipazione della gloria pasquale; si manifesta a loro nelle sembianze anticipate dal profeta Daniele (prima lettura): “Il Signore regna, il Dio di tutta la terra”.
Ognuno di noi, in quanto battezzato, si trova nella stessa situazione spirituale di Pietro, Giacomo e Giovanni; con l’aggiunta, però di una trasfigurazione che per noi è già iniziata con il Battesimo e (forse!) alimentata dalla Parola e dagli altri sacramenti. Noi siamo già tornati nel rapporto di figli con il Padre; noi siamo già stati trasfigurati: trasformati dalla Pasqua di Gesù, dalla sua Parola, dalla grazia dei sacramenti pasquali.
S. Pietro (seconda lettura) riassume così la nostra vita da figli di Dio: “Attendere il giorno nel quale sorgerà nel cuore di ciascuno la stella del mattino”, perché stiamo ancora attraversando un “luogo oscuro”!
Ecco dov’è il problema da risolvere: vivere come chi attende, perché il Signore, trasfigurandosi, ci ha già fatto intravedere la meta del nostro cammino; se lo vogliamo, egli continua ad alimentare in noi una certezza che rischia sempre di traballare.
Vivere senza lasciarsi sopraffare dalla fatica: essa ci induce a pensare che la verità su Gesù sia la sua “sfigurazione” della Passione e non la “trasfigurazione” di Risorto.
La nostra fede trova la sua consistenza passando attraverso le difficoltà della vita: come se il Signore Gesù ci chiamasse a passare, nei suoi confronti, da un “innamoramento all’amore”.
Vivere da trasfigurati vuol dire permettere che venga alla luce ciò che di più vero ci è stato donato, mentre attraversiamo la realtà della vita umana.Dobbiamo imparare ad ascoltare il Padre che ci ripete: “Questi è il Figlio mio, l’amato. Ascoltatelo”.