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Riflessione
Siamo tornati ad ascoltare il Vangelo di Marco, ma il collegamento con il cap. 6 del Vangelo di Giovanni (che ci ha accompagnato nelle ultime domeniche) è molto importante. Anche Marco nel suo cap. 6 (cioè appena prima del brano di oggi) ha raccontato il “segno” di Gesù che sfama 5.000 persone; anche lì Gesù si è sottratto al desiderio dei discepoli che volevano farlo re; anche in Marco Gesù viene contestato per il “significato del segno”: in gioco ci sono sempre l’accoglienza di Gesù come “pane vivo disceso dal cielo” e l’Eucaristia.
“Si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme”
Nel vangelo di Marco a contestare Gesù non è la folla; sono gli scribi e i farisei. Hanno fatto un lungo viaggio (da Gerusalemme alla Galilea) per raggiungere Gesù, ma non l’hanno fatto con il cuore, per cercare di capire; portano già con sé la sentenza: Gesù non può essere il Messia atteso, perché il suo comportamento non corrisponde alla pratica stabilita dalla religione degli uomini; aver sfamato 5.000 persone non vale nulla, perché le tradizioni religiose affermatesi nel corso dei secoli non sono state rispettate e osservate da Gesù, dalla folla e dai discepoli.
La prima lettura, che è stata sapientemente abbinata al vangelo di oggi, ci può aiutare a capire. Attraverso Mosè, Dio ha dato al suo popolo la Legge: è il segno dell’Alleanza, del rapporto con cui il Signore ha salvato il suo popolo, nutrendo e saziando la sua fame di senso per la vita; è la via tracciata da Dio per vivere la vita umana in comunione con Lui, con una sapienza che viene da Lui.
Mosè si premura di raccomandare: “Non aggiungerete nulla e non toglierete nulla”. Invece, nel corso dei secoli, le tradizioni degli uomini (la loro presunta sapienza!), hanno aggiunto (eccome!): le prescrizioni della legge (“i precetti degli uomini”) sono via via aumentate, fino al numero di 613; in questo modo, come dice Gesù, “questo popolo mi onora con le labbra (con gesti di culto), ma il cuore è lontano da me”. Così il cammino di fede diventa un vicolo cieco, non più collegato con la vita: non la trasfigura più; non trasforma più la natura umana in “vita da figli di Dio”.
Dopo l’Incarnazione del Figlio di Dio, una religione “vera”, che nasce dalla fede, non può condurre a onorare Dio senza amare l’uomo.
Questa trasformazione della vita umana non può nascere dalle sole forze umane, da sapienza soltanto umana: è un dono del Padre; è la vita ricevuta in Cristo Gesù e nella sua Pasqua; è la vita nella quale lo Spirito Santo “ci innesta” con la sua azione. Solo se lasciamo che lo Spirito cominci e continui ad agire con la sua grazia nella nostra “carne” (nella nostra mentalità umana), allora la nostra vita può trasformarsi in qualcosa che ha valore per sempre.
Come vedete, il discorso di Gesù sull’Eucaristia, ascoltato nelle ultime domeniche, continua in un modo per certi versi inaspettato (se no che vangelo sarebbe?): sembra quasi dare ragione a chi pensa e dice che non sono le “regole del culto” a essere importanti; importante è quello che uno ha dentro di sé.
Cerchiamo però di capire bene. Il culto (con tutte le sue regole) è importante, fondamentale, per entrare in comunione con Dio. Dobbiamo conservare con cura coscienziosa (per esempio) le “regole per la Comunione Eucaristica”: essere in grazia di Dio, sapere e pensare chi si va a ricevere, digiuno di un’ora. Però Gesù capovolge la prospettiva: non è che bisogna purificarsi per poter mangiare; è il mangiare che purifica. È il nutrire la nostra vita con il cibo che è Gesù a redimerci e salvarci. In altre parole: a chi guarda se sono pulite le mani, il Signore Gesù chiede di guardare se è puro il cuore.