Le letture della XXIII Domenica del Tempo Ordinario sono disponibili al seguente link, cliccando qui.
Riflessione
Leggendo (e ascoltando) il Vangelo secondo Matteo, siamo giunti al quarto dei cinque grandi discorsi che lo contraddistinguono: è il discorso ecclesiale, quello che riguarda la vita della comunità cristiana. Il legame profondo e vitale tra fede individuale e fede ecclesiale dovrebbe risultare in tutta la sua evidenza fin dalla celebrazione del Battesimo (“Che cosa chiedete alla Chiesa di Dio?”); in realtà siamo lontanissimi dal considerarlo e viverlo come vitale:
- la parola “Madre Chiesa” suona veramente come un’espressione che non corrisponde alla verità della nostra vita di fede
- l’Iniziazione Cristiana quasi mai riesce a raggiungere lo scopo di condurci ad una vita sacramentale ed ecclesiale.
Il contesto del brano di vangelo che abbiamo ascoltato è ancora quello di Gesù che annuncia la sua Passione/Morte/risurrezione: le norme che regolano la vita di una comunità diventano comprensibili solo all’interno dell’impegno a seguire Gesù portando la croce. La domanda a cui risponde il Vangelo potrebbe essere: “Come deve comportarsi una comunità che vuole impegnarsi a seguire Gesù, il Cristo Morto e Risorto?”
“Se il tuo fratello commetterà una colpa…”
- Nella comunità cristiana sono ancora presenti le rivalità, gli scandali, i peccati. Come comportarsi di fronte a tutto questo?
- La comunità cristiana deve prendere le distanze dal peccato; il peccato la ferisce: al suo interno e nel rispondere alla chiamata ad essere “segno/sacramento” per il mondo, anticipo (anche se imperfetto) della vita eterna di comunione con Dio e tra noi nella carità.
Tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo…”
Gesù parla di una corrispondenza tra quello che avviene sulla terra e quello che si realizza in cielo. La denuncia del peccato non deve mai allontanare dalla volontà di aiutarsi l’un l’altro a prenderne coscienza e a ravvedersi. A questo proposito è illuminante il versetto che precede il vangelo di oggi: “Il padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno si perda”. Possiamo capire allora i tre livelli successivi, indicati nel Vangelo, per una correzione fraterna discreta e paziente.
“Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo…”
Il verbo usato dal vangelo è proprio quello che descrive l’armonia nella musica: più suoni e più voci unite insieme per creare un accordo musicale. “Due o tre” è come l’inizio di quella “sinfonia” che si chiama “fraternità”; è l’inizio di una comunità: l’io incontra il tu e decide di camminare insieme per diventare noi. Occorre, però, la volontà di farlo: non è automatico che due o più suoni formino un accordo; è solo una possibilità: Gesù dice “se” e “dove”. L’armonia e la sintonia vanno cercate pazientemente, superando le stonature. Le stonature sono sgraziate; l’armonia è grazia: in senso umano, ma soprattutto nel senso della fede (Grazia, come dono gratuito di Dio).
La Parola di Gesù è una stupenda promessa che si realizza, però, solo vivendo il Vangelo, solo alimentando nella preghiera la consapevolezza di essere (sia io che i miei fratelli) figli di Dio. Bonhoeffer, un teologo protestante morto in un lager nazista, diceva: “grazia a caro prezzo”. La grazia dell’armonia in una comunità (in ogni comunità!) non è frutto di qualche incantesimo, ma percorso duro e faticoso (“da Croce”!); richiede fatica, perché siamo tutti peccatori bisognosi di perdono. Correggere un fratello che sbaglia è difficile e scomodo; è più facile giudicare, mormorare, parlare alle spalle. Il Signore Gesù chiede a noi, come a Ezechiele (Prima Lettura) di “essere sentinella”, di vegliare per il bene dei nostri fratelli. Poiché non siamo perfetti, il nostro essere fratelli si può manifestare soltanto nell’essere corretti e nel correggere. Chiediamo la grazia dell’”amore vicendevole” (Seconda Lettura).