Le letture della XXVII Domenica del Tempo Ordinario sono disponibili al seguente link, cliccando qui.
Riflessione
Confesso che quando ho cominciato a riflettere sul brano di Vangelo di questa domenica, mi è sembrato di inoltrarmi con una barchetta instabile dentro una tempesta violenta: quella del rapporto uomo-donna nella situazione culturale dei nostri tempi. Mi ha un po’ rasserenato la lettura di un commento a questo capitolo del Vangelo; segnalava che, in realtà, sono tre gli argomenti qui raccolti dall’evangelista Marco: due presenti nel brano di oggi (uomo-donna e adulti-bambini), il terzo in quello di domenica prossima (il ricco-poveri). Un aspetto appare chiaro: Gesù, in tutti e tre i casi, capovolge i nostri punti di vista; d’altronde il Vangelo di Gesù lo fa (o lo dovrebbe fare!) sempre.
Il problema vero è che i suoi interlocutori (anche noi?!) vanno da Gesù non per ascoltarlo, nella consapevolezza di avere a che fare con situazioni difficili (spinose), ma per “metterlo alla prova”: quindi quello che Gesù dirà loro non servirà; non vogliono ascoltare, non vogliono imparare.
La verità è che, senza Grazia, non siamo capaci di una relazione “vera” con Gesù, di una relazione da figli con Dio Padre; senza Grazia non siamo capaci di una relazione “vera” tra noi, neppure di quella relazione stupenda che è l’amore tra l’uomo e la donna nel matrimonio.
La Parola del Signore apre scenari stupendi di amore, condivisione, intimità: sono immaginabili e proponibili solo a partire dal progetto di Dio (1° lettura); ma di fronte al progetto si manifestano anche la fragilità, i limiti, i fallimenti della nostra natura umana. E allora si ripiega su progetti umani (come quello scritto da Mosè!) che cercano di medicare le ferite; ma sono progetti che nascono a causa della “durezza del nostro cuore”.
Ci vuole proprio un uomo nuovo, un cuore nuovo: il peccato danneggia in modo talvolta irreparabile la creatura umana che Dio, nel suo progetto, ha pensato capace di relazione e di amore “a sua immagine e somiglianza”. L’amore di Dio non abbandona i suoi figli: “Conveniva infatti che Dio rendesse perfetto per mezzo delle sofferenze il capo che guida alla salvezza” (2° lettura). Ogni tanto mi viene da riflettere sul motivo per il quale chiamiamo “passione” l’impeto dell’amore: è solo attraverso un dono reciproco (non sempre facile e gioioso!) che l’uomo e la donna diventano l’uno per l’altra “aiuto che gli corrispondesse” (1° lettura).
Il peccato separa conoscenza e amore e lascia isolata la creatura umana (“individualismo”); il compiersi del progetto di Dio in noi ci trasforma in “persone” capaci di relazione con altre persone: necessarie per dare senso alla nostra vita, ma diverse da noi. Quando siamo “avvelenati” dal peccato, la diversità è sentita come una minaccia: siamo tentati di rifiutarla; cerchiamo di azzerarla, di annullarla, per essere rassicurati; torniamo ad essere individualisti.
Ho trovato un’immagine che mi è piaciuta: la relazione non nasce mettendo insieme mattoni, ma pietre; i mattoni nascono da uno stampo, sono tutti uguali; le pietre no!
È difficile tirare una conclusione: siamo in cammino, siamo su una strada; non sempre riusciamo a seguirla senza cadere o smarrirci. Il Vangelo è “buona notizia” perché riconsegna a ciascuno di noi rinnovate possibilità di vita. Di questo dobbiamo essere grati al Signore.