Le letture della XXXIII Domenica del Tempo Ordinario sono disponibili al seguente link, cliccando qui.
Riflessione
“Avverrà”
Gesù nel vangelo di questa domenica, raccontando una parabola riguardo alla “fine dei tempi”, in realtà fa una dichiarazione, una dichiarazione importante: “Accadrà così; la vita è così; succederà così”.
“I talenti”
Sono usati da Gesù come un termine di paragone, già presente nel vangelo di qualche domenica fa: quello del servo perdonato che non sa perdonare. Un talento valeva, più o meno, come il guadagno di venti anni di lavoro: una ricchezza immensa!
“Consegnò loro i suoi beni”
Solitamente, commentando questa parabola, diciamo che i talenti sono le nostre capacità: da usare bene, perché dovremo renderne conto! È giusto: ma, di per sé, Gesù dice che “i beni sono di quell’uomo che parte per un viaggio”: dunque si tratta di beni non nostri, ma del Signore. Ecco fare capolino (ancora una volta!) il Regno di Dio: il bene di Dio è donato a noi per la nostra vita.
I talenti sono la vita di Dio: la comunione totale tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo; la misericordia di Dio; il Figlio che si fa uomo per salvarci; lo Spirito effuso e donato a noi; la Parola. Tutto questo (i doni del Regno) sono i talenti che Dio ci ha dato affinché li investiamo bene.
Quello che sta a cuore a Dio (ma sta a cuore anche a noi?) è riuscire a instaurare una relazione con noi; vorrebbe che il nostro rapporto con Lui nasca e cresca nel segno della fiducia, della corresponsabilità nei confronti della vita: come si conviene a un buon rapporto tra Padre e figli.
Allora i talenti, prima di essere pensati e messi a frutto per la realizzazione di noi stessi, sono da considerare in vista di una vita di possibile comunione con Dio e con gli altri: una vita che unisce le persone, che accomuna, che unisce; una vita che così (e solo così!) ci realizza come persone. Sono questi gli interessi che il Signore ci chiederà alla fine: “Quanto ti sei trasformato da individuo in persona di relazione, in persona capace di comunione civile ed ecclesiale?”
Il guadagno (i talenti moltiplicati) sono la nostra umanità trasfigurata dai beni del Regno di Dio che abbiamo ricevuto. Forse la “cultura” dei nostri tempi, se non la sosteniamo con la nostra fede di battezzati, ci sta conducendo in una direzione opposta rispetto a quella sulla quale vorrebbe accompagnarci il vangelo di Gesù.
Rimane il terzo servo della parabola.
Viene definito “malvagio”, perché non vuole rischiare: è come inchiodato dalla paura; è una persona pigra, interiormente spenta. Siamo simili a lui quando pensiamo di dare valore alla nostra vita pensando solo a noi stessi; quando siamo preoccupati di “non fare niente di male”; quando rimaniamo bloccati dal “fanno tutti così”. Gesù, nel vangelo, ci chiede invece di rischiare facendo il bene, fidandoci di Dio e della forza del bene. Il Dio annunciato da Gesù non è un guardiano cattivo, non è un nemico della nostra gioia (anzi: vuole che la nostra gioia sia piena); è un Dio che si fida di noi e ci chiede di fare altrettanto con Lui, per vivere come figli accompagnati dall’amore del Padre.
Sono questi i sentimenti che dovrebbero accompagnarci quando pensiamo alla fine del tempo (e della nostra vita) e al ritorno del Signore Gesù. In questo modo l’Anno Liturgico si trasforma in tempo di grazia da parte di Dio e di riconoscente gratitudine da parte nostra.